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La risposta non può che essere, finalmente, negativa:
diciamo “finalmente”, perché soltanto negli ultimi anni il contesto normativo
consente di circolare anche nel nostro Paese con dispositivi privi di
omologazione italiana, ma omologati in altro Stato membro dell’Unione Europea.
Questo risultato è stato raggiunto dopo anni di
battaglie, soprattutto da parte dei produttori di accessori, penalizzati
dall’eccessiva e insostenibile burocratizzazione delle procedure italiane.
Occorre da subito avvertire che le norme cui faremo
riferimento in questo post attengono, per la maggior parte, ad accessori
automobilistici; dalle nuove disposizioni emergono tuttavia principi generali
che, in quanto tali, possono essere applicati anche alle motociclette.
Le Direttive
europee
L’omologazione delle autovetture era disciplinata in
ambito europeo dalla Direttiva 70/156/CEE, poi modificata dalla Direttiva
92/53/CEE (D.M. 08/05/1995). La Direttiva 2007/46/CE ha abrogato le precedenti
ed è stata recepita con il D.M. 28/04/2008.
L’omologazione dei veicoli a due e tre ruote, invece,
era disciplinata dalla Direttiva 92/61/CEE, recepita in Italia con il D.M.
20/04/2000; la Direttiva 2002/24/CE ha abrogato la precedente ed è stata recepita
in Italia con il D.M. 31/01/2003.
A prescindere dal contenuto specifico di ciascuno
degli atti menzionati, basta dire che – con il loro recepimento nazionale – se un’auto
o una moto è omologata in uno Stato membro della UE, lo è anche nel resto
dell’Unione.
Circolare
Ministeriale DC IV B/03 1997
Questo nuovo contesto normativo ha – come detto –
penalizzato gli operatori di Paesi fortemente burocratizzati, a vantaggio di
quelli che potevano servirsi, in altri Stati, di procedure più snelle e veloci;
i costruttori italiani hanno così iniziato a premere sul Ministero dei
trasporti, affinché anche nel nostro Paese si alleggerisse l’intera procedura.
I primi ad ottenere qualche risultato sono stati i
produttori di marmitte: infatti, nella Circolare
Ministeriale DC IV B/03 1997 del 24/11/1997, si precisa che per gli
accessori – quali i silenziatori – muniti di omologazione europea non era più
necessario il collaudo di aggiornato previsto dall’art. 78 del Codice della
Strada. Ciò in quanto l’attività di “modifica” cui si riferisce tale norma è “diversa dalla sostituzione del silenziatore
originale con uno dello stesso tipo, ovvero con uno di tipo omologato (…), ma
riguarda la vera e propria alterazione delle caratteristiche fisiche e
meccaniche dell’intero sistema di scarico”.
Il principio generale che si può trarre dalla citata
circolare è quindi il seguente: deve ritenersi possibile anche in Italia
sostituire un dispositivo originale con altro di secondo equipaggiamento, senza
l’obbligo di aggiornare la Carta di Circolazione; l’importante è che
l’accessorio in sostituzione sia omologato per quello stesso modello di
veicolo.
Circolare Ministeriale
1680/M360
La circolare del 1997 ha quindi regolamentato – in
via indiretta – tutti quei componenti assoggettati ad omologazione europea “propria”
e che, in quanto tali, devono riportare apposite marcature (v. la nota “E” con
il codice del Paese che ha provveduto all’omologazione).
Un veicolo, tuttavia, non è composto soltanto da tali
dispositivi, ma anche da veri e propri sistemi (freni, sospensioni, ecc.), come
pure da un’ampia varietà di accessori (si pensi alle pellicole oscuranti): per
questi, è richiesta non la diretta omologazione europea – con l’apposizione delle
dette marcature – ma soltanto la verifica dei requisiti previsti per ciascun
sistema od accessorio dalle rispettive Direttive.
La normativa italiana era però in materia
estremamente lacunosa e, per anni, è stato applicato il solo art. 78 del Codice
della Strada, con le conseguenti lungaggini e complicazioni; nello specifico,
molti produttori si sono visti rifiutare a più riprese l’approvazione di
accessori che, invece, all’estero non avevano avuto problemi.
Vedendosi minacciare sanzioni dall’Unione Europea, il
Ministro dei Trasporti ha infine emesso la Circolare
Prot. n. 1680/M360 dell’8 maggio 2002, ai sensi della quale: “Non c'è dubbio, d'altra parte, che secondo
il principio della libera circolazione delle merci, sancito dagli art. 28-30
del Trattato che ha istituito la Comunità europea, non è possibile vietare la
commercializzazione di un prodotto approvato in un altro Stato membro e quindi
liberamente circolante nel suo territorio”.
Tale Circolare – malgrado attinente soltanto alle
pellicole oscuranti – sancisce quindi alcuni principi generali:
- in Italia non può essere vietata la
commercializzazione di un accessorio approvato all’estero, soprattutto se nel
nostro Paese non vigono norme specifiche;
- un certificato di omologazione emesso da un ente
autorizzato all’estero è valido alla circolazione, anche senz’alcun
aggiornamento della Carta di Circolazione.
Quadro attuale:
conclusioni
I sopraddetti principi generali, si badi, operano nel
nostro ordinamento a prescindere dalla L. 14/2009 che, a parere di molti, ha
legalizzato la customizzazione in Italia.
Tale legge comunque, modificando il Codice della
Strada (CDS), ha introdotto elementi utili a meglio definire il rapporto tra le omologazioni
ottenute all’estero e le relative procedure italiane: nello specifico, all’art.
75 CDS sono stati aggiunti i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater.
Maggiormente rilevanti per il nostro discorso sono i primi due.
Ai sensi del comma 3-bis, il Ministro dei trasporti
stabilisce con decreto norme specifiche per l'approvazione nazionale di sistemi
e componenti; i dispositivi oggetto dei decreti, inoltre, sono esentati dalla
necessità di ottenere il nulla osta della casa costruttrice (cfr. art. 236
CDS).
Il comma 3-ter precisa invece che, qualora i citati
decreti si riferiscano a componenti disciplinati da direttive comunitarie, “le prescrizioni di approvazione nazionale e
di installazione sono conformi a quanto previsto dalle predette direttive o
regolamenti”.
Quindi, è vero che spetta al Ministero fissare le
disposizioni per l’approvazione nazionale dei dispositivi, ma è anche vero che
queste procedure non possono contrastare con la disciplina europea; disciplina
ai sensi della quale i medesimi componenti sono stati omologati negli altri
Stati membri.
Alla luce di quanto sin qui detto, si può dunque concludere
affermando quanto segue:
- un accessorio omologato all’estero può circolare
in Italia, pena l’illegittima violazione della libera circolazione delle merci
in ambito europeo;
- il nostro Paese può soltanto verificare che l’accessorio,
debitamente approvato all’estero, sia montato correttamente, ossia che risulti
omologato per il veicolo sul quale sta circolando;
- ogni valutazione di conformità alla normativa
europea, infatti, è stata effettuata nel Paese estero che ha provveduto all’omologazione;
- omologazione che, si badi, è stata rilasciata
applicando le medesime norme comunitarie cui sono soggette le procedure
italiane, così come previsto dal citato comma 3-ter, art. 75, CDS.
Quindi, è consigliabile portarsi sempre appresso i
certificati di omologazione esteri degli accessori che montate, in modo da
dimostrare l’avvenuta approvazione; sappiate che, in tal caso, non può esservi
contestata alcuna violazione al Codice della Strada. È tuttavia possibile che
qualche agente, sbagliando, ritenga questi certificati non validi nel nostro
Paese e che vi sanzioni applicando anche misure severe (si veda il precedente articolo su questo blog); in tal caso, comunque, un ricorso contro il verbale
avrebbe buonissime possibilità di essere accolto, in quanto fondato non
soltanto su apposite Circolari Ministeriali, ma anche su palesi argomenti “comunitari”.
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