E' troppo comodo parlare del rapporto legge - customizzazione senza sentire la voce dei diretti interessati; per questo, l'articolo di oggi inaugura una serie di interviste a operatori del settore, siano essi customizer, rivenditori di accessori o addetti alle pratiche amministrative.
Iniziamo
parlando con Ivan Lascioli, titolare della LAIV Custom: officina specializzata
in trasformazioni di Harley e non solo, con attenta e appassionata costruzione
di parti speciali.
Perché abbiamo
scelto proprio lui come apripista delle nostre interviste? Semplice, perché
rappresenta appieno la capacità, il coraggio e la dedizione che sta dietro a
questo mondo e, in particolare, a quelli che – come lui – hanno deciso di
essere pionieri nel territorio in cui operano; non si ha idea delle difficoltà
che devono affrontare realtà artigianali come la sua, capaci tuttavia di
diffondere e creare passione, come pure di trasmettere l’idea che a muovere una
moto non sia soltanto il motore, ma anche il cuore di chi la possiede.
La LAIV
Custom nasce nel 2008 a Capo di Ponte, immersa tra i monti della Provincia di
Brescia; è stata la prima in assoluto a occuparsi di custom in Valle Camonica
e, dopo essersi trasferita nella nuova sede di Ceto, certamente oggi rappresenta
una scommessa vinta.
Ma vediamo
di conoscere meglio il nostro amico Ivan, il suo lavoro e la sua opinione sulla
legge italiana in materia di elaborazioni motociclistiche.
- Perché hai iniziato a elaborare motociclette?
A muovermi
è sempre stata la passione: pensa che già da bambino modificavo la mia
bicicletta. Poi sai, credo sia una cosa che uno ha o non ha: devi essere
portato per fare un certo lavoro, ma soprattutto devi avere la passione per
farlo; insomma, se vuoi una cosa fatta bene devi farla con passione. E questo
vale in qualsiasi ambito, soprattutto quando – come nel mio caso – devi
lavorare su cose che non sono tue: la moto è un oggetto troppo personale,
rappresenta un’appendice di noi stessi. Mi rendo benissimo conto che per ogni
appassionato è uno sforzo non indifferente portarmi la sua moto, quindi bisogna
garantire ai clienti che i loro mezzi saranno oggetto di tutte le cure
necessarie; se nel far questo non ci metti la passione, se ne accorge chiunque.
Comunque,
tornando alla domanda, diciamo che ho iniziato come tutti lavorando sulla mia
moto; poi gli amici mi hanno fatto modificare le loro e infine mi son detto
“Proviamo a far diventare questa passione un lavoro”.
- Quale è stata la richiesta più particolare che hai ricevuto da un cliente?
Mah, la
richiesta più particolare non aveva niente a che fare con le moto: mi hanno
fatto costruire delle placchette per luci che dovevano essere montate a terra.
Un cliente mi disse che un suo parente non riusciva a trovarne un modello che si
potesse montare a filo del terreno, in modo da evitare il rischio di
inciamparci. Gliele ho costruite in alluminio e il risultato è stato molto
apprezzato.
Poi sai,
particolari moto da personalizzare nel contesto in cui opero non si trovano:
viviamo in Valle Camonica e qui la realtà non somiglia minimamente a quella che
si vede alla tv o si legge sui giornali. È un mondo a sé, dove le cose arrivano
coi loro tempi. Sotto questo profilo, aprire la mia officina ha rappresentato
una spinta in più: molti si sono avvicinati al mondo custom, infatti, perché
sapevano di poter contare su un’officina dedicata a quello.
C’è anche
da aggiungere che in questo settore è stato fatto ormai tutto; inventare
qualcosa significherebbe imbarcarsi in interventi troppo tecnologici e costosi
che, alla fine, uscirebbero dall’immaginario custom. Comunque, le case
costruttrici stanno operando proprio in questo senso: ormai tutte le moto sono
a iniezione, hanno elettronica ovunque; il mercato vuole mezzi affidabili,
funzionali, comodi e che non perdano pezzi per strada. Al giorno d’oggi, le
Harley puoi paragonarle alle Jap per affidabilità e tecnologia, ma non
incarnano più quello che rappresentavano per noi.
I lavori
belli, comunque, li puoi fare su qualsiasi base, basta avere un po’ di fantasia.
Anzi, ti dirò che il mercato è talmente saturo di elaborazioni su base Harley
da gratificarti maggiormente quando intervieni su moto di altre marche; anche
perché, obiettivamente, nel compiere questi interventi incontri molte
difficoltà: sono infatti mezzi complessi, che non sono stati creati per essere
modificati e che ti consentono di raggiungere il risultato voluto solo con
molto lavoro e impegno. Chi se ne intende si accorge subito della fatica che
sta alle spalle di un progetto finito.
- Quale è stata, invece, la customizzazione più difficile che hai dovuto affrontare?
Tutte sono
difficili, anche perché tutte le personalizzazioni sono diverse l’una dall’altra;
poi, ovviamente, al giorno d’oggi tutte si somigliano perché ci sono degli
stili dominanti.
Comunque le
trasformazioni più difficili sono sicuramente quelle in cui il cliente ti porta
la moto e ti dice: “Fai tu”. Io ho una mia idea di come deve essere un ferro,
ma la customizzazione è una cosa troppo soggettiva: lasciandomi carta bianca, io
costruisco una moto della LAIV Custom, non la “tua” moto; se tu invece mi
spieghi bene cosa vuoi, il risultato finale sarà proprio la “tua” moto, anche
se costruita dalla LAIV Custom.
Tieni anche
presente che nessuno arriva con un progetto ben definito in testa: solitamente
mi dà delle linee guida, di modo che io dopo possa valutarne la fattibilità. Io
comunque non mi permetterò mai di dirti che, dal punto di vista estetico, i
tuoi desiderata sono da scartare: ti darò soltanto dei consigli tecnici, magari
spingendoti a intervenire su un aspetto piuttosto che un altro. Ma la finalità
del mio lavoro è solo una: tu devi uscire da qui soddisfatto di come hai speso
i tuoi soldi. Proprio riflettendo su questo, ho notato che molta gente considera questo un lavoro e basta; quando hai a che fare con la passione
della gente, in realtà, mi pare riduttivo parlare soltanto di lavoro.
- Come valuti il bacino di utenza del settore custom nel territorio in cui operi?
Qualcosa si
sta muovendo da 2-3 anni; nell’odierna situazione di crisi però, una realtà
come la mia fatica molto: chi compra la moto non è propenso a investire
ancora denaro per personalizzarla; magari hanno in mente questa o quella
modifica, ma poi si fermano per i budget richiesti. C’è anche da dire che molti
non comprendono il reale costo delle personalizzazioni: in sostanza, non può
valere la regola “questo piccolo pezzo costa meno di un altro più grande”. Anzi,
può essere l’esatto contrario: il piccolo pezzo può avere alle spalle ore di
progettazione e realizzazione, mentre quello più grande può essere stato ultimato
in un’ora.
A
prescindere da questo, comunque, nella nostra zona gli ultimi anni hanno
segnato un boom delle Harley; secondo me, perché le giapponesi costano sempre
più: in pratica, con gli stessi soldi puoi comprarti una Shadow o uno
Sportster. Moltissimi scelgono il secondo, vuoi per il nome, vuoi per la tenuta
del valore nel tempo. Insomma, si cercano mille ragioni per giustificare i
nostri giocattolini.
Tuttavia,
credo ci sia tutta un’altra soddisfazione a guidare una moto personalizzata: qua
da noi ancora manca un po’ questa mentalità, ma arriverà col tempo, quando
tutti avranno già inventato tutto. Tra l’altro, molti costruttori iniziano già
a guardare avanti: spingono verso personalizzazioni di moto stradali o altro,
perché temono che, prima o poi, il mercato si stancherà delle elaborazioni su
base Harley o custom in genere.
- Qual è il suo giudizio sulla normativa italiana in tema di personalizzazione dei veicoli e delle moto in particolare?
I problemi
della normativa italiana sono tre: restrizioni incomprensibili, burocrazia
eccessiva e costi importanti.
Riguardo al
primo aspetto, mi preme dire una cosa: non è vero che in Italia non si può fare
niente, solo che ti impongono dei paletti che non hanno veramente senso. Pensa
alla questione degli pneumatici: non è vero che non puoi montarli se sono
diversi da quelli originali; però devi mantenerti nella soglia di tolleranza
del +/- 5%. Insomma, sarebbe una modifica che praticamente non ti fa cambiare
la moto; chi spenderebbe dei soldi per omologare un lavoro che in sostanza non
si vede?
Sotto il
secondo profilo, pensa all’iter che la legge ti impone per l’omologazione di un
veicolo modificato: devi recarti alla Motorizzazione, effettuare prove,
metterti a disposizione di un perito, ecc. Se va tutto bene, le modifiche
vengono accolte e così puoi realizzarle in serie, senza bisogno di seguire
nuovamente tutta la trafila. Tuttavia, per una realtà come la mia, che non
produce nulla in serie, è un iter improponibile. Questo vale anche per
l’omologazione di esemplare unico: ti risolve sì il problema della produzione
in serie, ma l’iter burocratico è lo stesso. Senza contare che, per le
modifiche più rilevanti, serve il nulla osta della Casa costruttrice; cosa praticamente impossibile.
Quanto al
terzo profilo, i costi sono strettamente legati alla procedura: più lunga e
macchinosa è la seconda, più importanti sono i primi; insomma, se devi mettere in
moto un meccanismo dove si susseguono carte su carte, prove su prove, verifiche
su verifiche, è ovvio che il tutto finisce per richiederti un investimento non
indifferente. Investimenti che, ti ripeto, quando sei una piccola realtà sono
estremamente difficili da sostenere.
- Quali parti della normativa andrebbero cambiati secondo te? Come interverresti su essi?
Oltre per i
profili che ho detto sopra, io interverrei sulla normativa attualmente vigente
per quanto concerne la sua chiarezza: è troppo vaga e si apre a mille
interpretazioni. Pensa all’interasse, la cui dimensione è riportata a libretto:
ma cosa vuol dire? Se io tendo la catena di trasmissione è ovvio che vario
anche l’interasse e, per questo, dovrei aggiornare il libretto? Non credo
proprio.
Certo,
questo è soltanto un esempio banale, ma proprio partendo da queste piccole cose
si finisce davanti a un ingegnere della Motorizzazione che nega l’omologa alle
tue modifiche, mentre la concede a quelle di un altro simili alle tue. La legge
dovrebbe essere chiara, precisa e snella: tutti dovrebbero capire cosa si può
fare e cosa no; insomma, non si dovrebbe essere ingegneri per interpretare le
norme su come montare, ad esempio, un faro o delle frecce.
Devo però
anche precisare una cosa: non son sicuro che, se venisse fatta una legge come
Dio comanda, tutti la seguirebbero senza battere ciglio. Il fatto è che
l’attuale normativa ha obbligato molti a cercare delle scorciatoie, in modo da
poter comunque lavorare. Se di punto in bianco le cose cambiassero, permarrebbe
comunque la tendenza psicologica a cercare escamotage in modo da alleggerire
ulteriormente le procedure.
- Secondo te, quale è il Paese più avanzato a livello normativo sotto il profilo delle customizzazioni?
Per poter
rispondere a questa domanda bisogna avere una buona conoscenza delle leggi
applicabili negli altri Stati; ti posso dire che molti vanno in Germania, vuoi
perché è relativamente vicina, vuoi perché la sua normativa è chiara e le sue
procedure sono trasparenti. Alcuni invece si rivolgono a enti inglesi. Lasciamo
perdere gli Stati Uniti, realtà troppo distante e diversa dalla nostra; anche
se, bisogna precisare, non è vero che là si possono effettuare tutte le
modifiche che si desiderano. Tuttavia, negli USA hanno ben radicata la cultura della
personalizzazione: loro hanno capito che, semplicemente, la customizzazione è
un business molto redditizio. Soldi ne girano parecchi, perché ognuno è
contento di possedere una cosa unica, sia essa macchina o moto. Se la gente
vuole investire per questo, perché non assecondarla? Predisponi una legge fatta
bene e consenti lo sviluppo del settore. Questo l’hanno capito – o lo stanno
capendo – anche alcuni Paesi Europei, ma non tutti.
E questo, si
badi, è dimostrato anche dal fatto che in Italia non ci sia informazione sulla
materia: le stesse Forze dell’Ordine, molte volte, non sanno se il faro che
monti è omologato o meno per l’utilizzo che ne stai facendo. Trovare in rete o
in libreria pubblicazioni che ti permettano di saperne di più è una vera
impresa e, molte volte, anche gli addetti del settore ti rispondono vagamente;
tanto che, innanzi alla domanda “Posso montare questo faro?” segue spesso la
risposta “Credo di sì, ma, nel dubbio, non montarlo”.
Senz’ombra
di dubbio, Ivan ha delineato i veri problemi della normativa italiana in
materia di customizzazione. Problemi che, obiettivamente, sono agli occhi di
tutti; le uniche che paiono non accorgersene sono le istituzioni, che si
mostrano poco propense non soltanto a modificare l’attuale situazione, ma anche
ad aprire un serio tavolo di confronto in materia.
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